I primi due weekend di Aprile 2022 hanno finalmente visto concretizzarsi con un tutto esaurito con più di 300 partecipanti la performance teatrale “Di-stanze, il Senso dell’Accoglienza”, originariamente programmata nel 2020 in occasione dei venti anni di vita della nostra Associazione di Famiglie Venite alla Festa, da sempre caratterizzata dal tentare di declinare la parola accoglienza nelle sue più variegate sfaccettature, slittata di due anni causa pandemia e ora realizzatasi grazie alla collaborazione con il Teatro dei Venti, a cui l’Associazione Venite alla Festa aveva chiesto di tradurre in rappresentazione teatrale le riflessioni maturate nel suo percorso di vita “accogliente” che dura da di più di vent’anni.
Questo spettacolo è nato come un dono, che l’Associazione ha voluto fare al territorio e specialmente a chi era di-stante dalle tematiche scomode dell’accoglienza. Per fare ciò, è nato un percorso caratterizzato da diverse “stanze” nelle quali essere condotti per mano da una bambina, capace di tenere insieme come un filo il desiderio personale e collettivo del recupero di una prossimità che, specialmente dopo la Pandemia e con una guerra ancora negli occhi, possono apparire ancora più una illusione. Ma noi viviamo immersi in una grande complessità e dentro una molteplicità di contraddizioni che fanno risuonare le nostre distanze interiori con quelle esteriori: per questo siamo coscienti di avere chiesto a chi si è lasciato interrogare da questo viaggio di accettare un percorso difficile, in cui non era sufficiente guardare ma che aveva bisogno di tempo per fare sedimentare e fare emergere domande e dubbi, sollecitando interiorità e coscienza. Ogni stanza attraversata per mano alla bambina ti butta addosso una distanza davvero scomoda cui non è facile essere disposti a confrontarsi: nascere nel dolore, magari su un barcone e affogare nell’acqua e nella perdita della relazione materna, la violenza di genere unita al bisogno di essere visti e desiderati, il sogno che rimbalza urlato o sussurrato nelle pareti strette e scomode di una prigione guardando le stelle, e poi il buio profondo, dove abitano tutte le voci di chi si è sentito per una volta accolto o scartato, visto o invisibile, amato o ripudiato, squarciato infine dalla luce dove altre distanze prendono forma e in cui il disagio psichico sposa il disagio dell’infanzia nella stessa speranza di futuro.
Ma il viaggio non ha mai fine e si esce finalmente a respirare cercando il senso di quello che abbiamo visto, e per qualcuno anche il senso della vita, personale e collettiva, che contiene tutte le nostre contraddizioni, l’etica, l’estetica, l’ingiustizia ed il continuo alternarsi di bellezza e sofferenza.
Ma la contraddizione non è un errore, è la realtà, ed è necessario accettarla senza farci perdere il filo del percorso, la mano della bambina che porta noi.
Chi lo desiderava, all’uscita, ha lasciato un pensiero, una risonanza, una critica rispetto al suo sentire ed inizia ad emergere apparentemente che chi è riuscito, con più naturalezza, ad accogliere la sfida di fare proprie e meno distanti le narrazioni delle di-stanze sono le giovani generazioni. Gli adulti hanno fatto più fatica ad immedesimarsi empaticamente nei personaggi di quanto si siano sentiti coinvolti i ragazzi e le ragazze della generazione Z. Una semplice riflessione a questo dato induce a pensare che forse i ragazzi e le ragazze si siano sentiti più vicini alle fragilità incontrate, perché vivono anch’essi la stessa fragilità e, su piani diversi, lo stesso malessere. Si sono riconosciuti più degli adulti negli specchi che hanno incontrato appesi nelle stanze: sono affamati e bisognosi di senso, e questo richiama forte alla responsabilità di noi adulti a non lasciarli soli.
Dobbiamo tutti dedicarci faticosamente a investire il nostro tempo così prezioso su qualcosa più grande di noi che sia autentico, vero, lavorando onestamente sulla nostra e altrui interiorità e che ritornando su di noi, nutrendoci, ci dia un senso e ci sveli.
Ringraziamo infine Pablo Vicentini autore dell’apprezzatissima immagine di “Di-stanze”. Nella sua illustrazione, nata prima del percorso, c’era già inscritto tutto il senso del viaggio: la ricerca di una meta, la solitudine, la barca come simbolo, la fatica e soprattutto il senso del viaggio interiore che esige una luce sempre accesa.
Marcello Bertesi
Progetto realizzato grazie al contributo della Fondazione Cassa di Risparmio di Carpi, della Banca Popolare dell’Emilia-Romagna, al patrocinio del Comune di Carpi e alla collaborazione con la Coop. Eortè.