Siamo vivi, nonostante tutto. Nonostante le duecento guerre nel mondo, le pandemie, i tradimenti subiti e agiti, c’è in noi, in ciascun uomo, una vita che non si esaurisce davanti a nessun fallimento.
Ce ne rendiamo conto ogni volta che siamo chiamati con amore col nostro nome di battesimo, o chiamiamo con il loro nome, e con la stessa dedizione, le persone che incontriamo lungo il cammino della nostra vita.
Non fa differenza se si tratta del nostro coniuge o del collega di lavoro, dei nostri figli naturali o di quelli accolti nelle nostre famiglie, del collega di partito o dell’avversario politico.
Ciò è possibile se riconosciamo di aver ricevuto dei doni, che sono presenti anche nelle persone più fragili e in difficoltà, e questa consapevolezza ci spinge a sua volta a donare il nostro tempo, le nostre competenze, le nostre risorse, la nostra casa, i nostri talenti. Nei fatti sia quando si ha paura che quando si gioisce non si è mai soli.
Siamo tentati ogni giorno a ricercare la felicità nell’esercizio delle nostre virtù e nella forza della nostra volontà, salvo poi scoprire che ci sentiamo vivi solo quando corriamo il rischio di accogliere l’altro nello stesso identico modo in cui vorremmo essere accolti noi stessi: con fiducia, con benevolenza, con sagacia, con creatività, con apertura, dialogo.
Ecco! La fiducia. Premessa alla fede. Chiediamoci allora per un attimo se dopo i nostri incontri in città o nella chiesa aumenta la nostra fiducia nella vita e negli altri. Senza la fiducia non andremmo nemmeno a comperare il pane dal fornaio. Senza questa fiducia come atto umano è inutile affaticarsi in discussioni sulla fede in Dio.
Prendere le di-stanze è noia. Tutto il resto è vita.
Gianpietro Cavazza