Ogni mattina mi alzo, nel silenzio della casa, per primo. Ogni mattina, ripeto in modo costante le stesse cose: vado in bagno, preparo la colazione, accendo la radio… Le abitudini certe, che ritrovo ogni mattina, sono parte essenziale del buongiorno. È il momento migliore della giornata. È il mio momento, in solitudine.
Tuttavia, avendo accolto nel tempo qualche minore nella nostra casa, mi sono trovato spesso destabilizzato da qualcuno che scendeva le scale a metà della mia colazione. Inaccettabile!
Poi pensavo e realizzavo che lui o lei, che scendeva le scale, si sentiva ancor più sorpreso di me. I suoi occhi si aprivano in una penombra sconosciuta; il suo corpo intorpidito entrava in un bagno estraneo, la sua tazza di colazione era un’altra. E questo non era lo sforzo di una mattina leggera per essere in vacanza. La sua abitudine era sospesa, perché si trovava in uno spazio e un tempo nuovi, dove, con grande difficoltà, andava ricostruendo ogni abitudine.
Così è l’affido: è il cambiamento di un mondo di riferimento con un altro. Poco importa se questo è o sarà migliore, è comunque un altro e da qui parte la salita. Il cambiamento tocca, sempre, entrambe le parti coinvolte ed è dispari. La famiglia accoglie, nella sua casa, tra i suoi arredi e le proprie abitudini. Il minore accoglie un mondo diverso, che gli viene proposto come suo, in attesa che si riapra la porta della sua abitazione. È capace di accogliere chi è capace di farsi accogliere e di farlo in casa propria, rinunciando al fatto che un mobile si sposterà, un orario cambierà, una colazione avrà nuovi ingredienti e ne perderà altri. È questo lo sforzo dell’accoglienza ed è la parte più impegnativa.
Accogliere non ha come primo gesto l’allestimento di una stanza o la preoccupazione di una cena, ma ha la preparazione a farsi accogliere. Chi entra nella nostra casa fa lo sforzo più grande, accettando di fatto di starci e di affidarsi. Facendolo vuol dire che accoglie chi gli apre la porta e, poi, deciderà se affidarsi. Iniziando così, la famiglia accogliente saprà anche percorrere i tempi e le strade che portano all’equilibrio dell’accoglienza reciproca. Perché un punto di equilibrio c’è. E non è il punto che dà incrollabile stabilità, ma è quello che fa galleggiare, in modo che si possa procedere nella navigazione senza affondare e sfruttando la corrente altrimenti nemica. Non esiste una navigazione ferma. La rotta è sempre ondeggiante, con oscillazioni incostanti ed improvvise, ma comunque in equilibrio e anche con lunghi tratti di tranquillo attraversamento.
Ci sono imbarcazioni fragili, che vanno evacuate perché non affondino provocando vittime. Ci sono, non lo si può negare. E vanno soccorse. Chi lo contesta, si copre gli occhi di fronte alle difficoltà dell’uomo, fa finta di non vedere o non accetta che i contesti di vita non sono buoni in sé, ma sono positivi se funzionano o se garantiscono loro stessi un equilibrio.
La famiglia accogliente è questa possibilità di navigazione alternativa. Sa di essere un punto di passaggio, un mezzo temporaneo di navigazione. Cercherà, quindi, di insegnare a navigare in ogni situazione e trasmetterà i fondamenti del nuoto, scoprendo che, molte volte, si tratta solo di recuperarli, perché erano stati dimenticati.
Accogliere è essere accolti. E sentendosi accolti si sarà in grado di farlo a propria volta. Inizierà da ciò una nuova possibilità, la ricerca di un nuovo equilibrio.
Vittorio Reggiani, Venite alla Festa