Il giorno 27 dicembre 2018 il nostro fratello Davide, dopo poco più di due anni di malattia ma molti più anni di amicizia e fraternità, si è accomodato ad aspettarci nel palmo della mano del Signore: la sua presenza nella nostra Comunità di Famiglie, e questo vale per ogni singola persona, è stato un dono. Del modo, unico e irripetibile, in cui Davide è stato un dono per la nostra Comunità desideriamo iniziare a raccontare, perché la traccia del nostro passare nel tempo del mondo ci trovi con lo sguardo e l’anima attenti al colore che ognuno ha saputo dargli. Oggi questo colore si chiama Davide.
La vera eredità di Davide è stato mostrare che si può crescere in umanità e fede anche quando si sta perdendo la vita, imparando a permettere agli altri di occuparsi di noi, facendo diventare la propria malattia un beneficio per chi ha avuto il dono di essergli vicino, come un vero strumento di compassione.
Lui, che nella sua vita da medico ha saputo aiutare tante persone, è riuscito ad imparare che se aiutare gli altri è bene, essere occasione perché gli altri ci aiutino è meglio, poiché lasciarsi aiutare sta ad un livello spirituale molto più alto di quello del semplice aiutare, perché la cosa più difficile al mondo è imparare ad essere bisognosi.
Di Davide in questi due anni di malattia mi ha colpito il suo altissimo livello spirituale, che si poteva già percepire dal suo essere sempre, in ogni occasione, composto, delicato e lucido, e sempre supportato da quel filo di sottile ironia ficcante ma mai giudicante specchio della sua anima: la sua profonda interiorità non poteva infatti non riflettersi nel suo corpo, nel suo modo di muoversi, nel suo sguardo mite e nella sua intelligenza.
Ma nel caso di Davide, per chi si accostava a lui, accedere a questa interiorità non era facile, la si poteva raggiungere solo dopo una frequentazione paziente, e questo non per il suo essere chiuso, assolutamente no, ma solo perché mai lui è venuto meno nella vita esteriore ma ancor più e soprattutto nella vita interiore alla sua riservatezza, alla sua discrezione, al suo pudore delicato.
Per questo, quando Davide decideva di dover parlare del suo mondo interiore non lo faceva mai per mettersi in mostra, perché questo era contrario alla sua natura, ma solo perché ciò che sgorgava in quel momento dalle sue labbra della sua interiorità era naturale che sgorgasse, e questo accadeva quando la sua coscienza e la sua spiritualità coincidevano, ed erano sempre parole che, anche nella loro apparente laicità, trasudavano sacralità.
Con Davide abbiamo anche noi compreso passo passo che se la malattia presuppone inevitabilmente un periodo di perdite non comporta irrimediabilmente che sia di fatto anche un periodo di perdita di se stessi, o forse invece una occasione di verità. Perché la malattia ci cambia e ci fa vivere l'esperienza della vulnerabilità, senza la quale non esiste l'esperienza genuina dell'uomo e del cristiano.
Sono sicuro che se Davide potesse sentire quello che noi ora raccontiamo e abbiamo compreso di lui nell'affrontare la fragilità della malattia, dall'alto della sua delicatezza, non lo approverebbe, ritenendolo esagerato e immeritato: quasi nessuno è concorde con quello che gli altri vedono di noi, della nostra storia, della nostra personalità.
Tutti vorremmo avere non solo la nostra vita da vivere, ma anche la sua libera interpretazione. Ma questo è chiedere troppo perché a ognuno di noi è dato sì di vivere le nostre vite ma, con umiltà, anche accettare che siano gli altri ad interpretarle e svelarne il mistero, nel nostro essere santi e sbagliati insieme: è giusto così.
La capacità del DottorD di attraversare il fiume della malattia e guardare la sua stessa professione dall'altra sponda non lo ha di fatto essere meno medico, anzi, esattamente il contrario: lo ha fatto crescere in umanità, accoglienza, umiltà e ascolto.
Essere riuscito a far tramutare la sua malattia in esperienza di crescita per se, la sua famiglia e per gli altri è qualcosa di bellissimo ed eroico, che non è concesso a tutti di riuscire a raggiungere.
Pur essendo stato uno dei medici più attenti e bravi che ho incontrato sono sicuro che Davide ha curato molti più persone da malato che da medico.
Sei montato di guardia in paradiso DottorD, arrivederci lì.
Marcello