Al ritorno da “Storia in viaggio. Da Fossoli a Mauthausen” progetto promosso dalla Fondazione Fossoli che coinvolge 450 studenti provenienti dagli Istituti scolastici della provincia di Modena, mi piace condividere una breve riflessione maturata grazie alle parole di Kazimir, nostra guida al campo di Mauthausen.
Austriaco sui generis, dal profilo scarno e austero, con il suo colbacco nero e il suo look trasandato, ha catturato grazie al suo italiano puntuale e pungente, privo di ogni retorica, non solo la mente ma il cuore dei nostri 40 ragazzi e certamente anche il mio.
Quando questo Lager per detenuti politici è stato costruito nel 1938, gli Austriaci lo hanno non solo permesso ma anche sostenuto.
Quando al suo interno i prigionieri erano annientati attraverso il lavoro, costretti a trasportare lungo la ripida “scala della morte” blocchi di granito del peso di 50 Kg (questo è un campo dove si muore di stenti, fame, fatica, malattia), poche decine di metri fuori dalle mura non solo i soldati di guardia ma la popolazione locale approfittavano della piscina e del campo da calcio con tribune, generosamente offerti dall’Amministrazione del Reich: ogni domenica la squadra delle guardie del campo affrontava le altre formazioni calcistiche iscritte regolarmente al campionato locale e molti erano gli spettatori.
Kazimir chiede ai ragazzi quale sia il momento in cui un uomo passa dalla connivenza alla complicità.
A differenza di quanto molti credono, le condizioni di vita dei prigionieri nel campo non dipendono dalle SS, che raramente mettono piede al suo interno, ma da Kapò, prigionieri come gli altri, cui viene dato potere di vita e di morte sui sottoposti della baracca.
I sopravvissuti raccontano di Kapò feroci e bestiali dalla violenza sadica, pochi altri invece di un kapò che lasciò riposare i suoi uomini nascosti dai cespugli, rimanendo a fare la guardia perché le guardie non li sorprendessero o di un altro che procurava qualche razione di cibo in più.
Anche nel Lager- dice Kazimir - è possibile fare delle scelte: ognuno ogni giorno può scegliere che uomo/donna essere.
Perché i prigionieri portano un triangolo di colore diverso cucito sulla giubba?
I ragazzi sono spiazzati: conoscono il significato di quei colori (i colori segnano l’appartenenza a gruppi quali i politici, gli asociali, gli omosessuali, i testimoni di Geova, …) ma perché ci siano non è chiaro.
Silenzio. Tentativi di risposta. Acqua, fuochino, fuoco: è essenziale che i prigionieri, che sono tantissimi, molto più numerosi delle guardie, si sentano parte di un singolo gruppo e, soprattutto, in competizione con gli altri.
Divide et impera! Chi vuole detenere il potere, riesce sempre a mettere in competizione gli oppositori: noi e loro, noi e gli altri.
E allora? Lasceremo Mauthausen, ultima tappa del nostro viaggio, con questa amara consapevolezza? Sconfitti dalla lucida accettazione del male che qui si è perpetrato? Da una invincibile apatia?
SOLIDARIETÀ
Kazimir ricorda ai ragazzi che solo la solidarietà può evitare che i meccanismi del totalitarismo si riaffermino. La Solidarietà è un efficace antivirus, capace di mantenerci umani in un contesto che tende a reificare e a escludere chiunque non sia produttivo.
Nei giorni successivi quanto vi ho riportato è stato oggetto di fitte conversazioni tra i nostri ragazzi a testimonianza del fatto che hanno davvero sete e fame di vera conoscenza e ancor più di adulti autorevoli che forniscano loro vecchie e nuove chiavi di lettura del presente.
Che il Signore ci doni la forza di essere testimoni credibili.
Laura